«Il libretto di Guillermo Perrín e Manuel de Palacios, non molto dissimile da quello de La vedova allegra, narra di un monarca immaginario, ormai spodestato dal suo trono di Molavia (n.d.r.: un paese immaginario) e rifugiato in Inghilterra - Sagi lo fa comparire nel preludio adagiato su di una poltrona, carezzando una corona enorme e sonnecchiando con la marcia reale che suona su di un vecchio grammofono.
Con questo materiale, certamente pericoloso se si vuol renderlo credibile, Emilio Sagi punta sulla carta del gioco brillante e lo fa con quella ''scenica scienza'' a lui tanto consona.
Ritmo incalzante, con gustose chiose sull'intervento dei servitori negli affari reali nel primo atto e azione movimentata su una monumentale giostra, nel secondo. [ ... ]
Una messinscena perfettamente adatta ad aggiornare la vicenda pur senza tradirne il senso originale.
Il regista riesce a mantenere un ritmo vivace per tutta l'opera, con qualche spunto poetico per i passi più lirici, come quella passeggiata nel verdeggiante parco sotto la pioggia all'inizio del secondo atto.»
Marcelo Cervelló-Eroles, L'opera, No. 225.